Domande e risposte
DIFFICOLTA' A MANGIARE NELLA PRIMA INFANZIA: SPUNTI UTILI PER I GENITORI
Buongiorno,
mio figlio T., di quattro anni, ha cominciato a diventare sempre più difficile a tavola (restringendo a pochi alimenti le sue scelte). La cosa è peggiorata a seguito di un’influenza gastrointestinale avuta qualche mese fa. Io lo assecondo, purché mangi! E’ un bambino minuto e temo possa perdere peso. La pediatra mi rassicura, dicendomi che Tommaso non è sottopeso, ma io come mamma sono preoccupata. Il momento del pasto diventa difficile. Mio marito dice: “Se non mangia non è la fine del mondo!”. Avete qualche suggerimento?
C.
IL PARERE DEL NOSTRO PSICOTERAPEUTA – SELETTIVITA’ ALIMENTARE
Gentile C.,
Mi sembra che nel vostro caso si possa parlare di selettività alimentare. Essa nella prima infanzia è un problema piuttosto comune, e preoccupa tante mamme e papà. Dare al proprio bambino un cibo buono, sano e nutriente sappiamo quanto possa contribuire alla crescita. Ma non deve nemmeno diventare un “pensiero fisso”, né per i genitori, né per il bambino. È bene conservare il più possibile un approccio naturale e disteso verso il cibo e verso i momenti ad esso dedicati. Ciò può aiutare nel tempo il bambino a sviluppare un approccio curioso nei confronti dell’alimentazione. Nutrire i propri figli è un compito che spesso tocca alle mamme (soprattutto nell’infanzia), anche se non in via esclusiva. Questo “compito” può gratificare, ma anche preoccupare nello stesso tempo.
COME AFFRONTARE LA SELETTIVITA’ RISPETTO AL CIBO DEI PROPRI FIGLI
In casi di selettività alimentare non motivata da particolari patologie o problemi medici, è utile:
- Prevedere un momento del pasto comune a tutta la famiglia, che sia un’opportunità di condivisione. Evitare quindi di far mangiare il bambino prima o dopo gli altri membri della famiglia. Anche se piccolo, è utile che veda questo momento come condiviso con voi.
- Proporre una varietà alimentare, sana e ricca di nutrienti, ma simile o addirittura identica a quella prevista per voi genitori. E’ bene gradualmente differenziare sempre meno ciò che cucini per T. e per voi.
- Non insistere affinché mangi. Puoi proporgli di assaggiare, ma se rifiuta categoricamente qualcosa, non è il caso di forzarlo. E’ bene lasciargli la possibilità di imparare a nutrirsi in base al suo gusto e senso di sazietà.
- Non imboccarlo, anche se ti verrebbe da infilargli in bocca l’ultimo boccone. Questo tende di solito a passivizzare i bambini, e dipendenti dall’adulto che in qualche modo “gli procura il cibo”. E’ importante invece sottolineare il messaggio che sono capaci di farlo da soli.
- Non riempirgli il piatto eccessivamente. Anzi meglio fare piccole porzioni, eventualmente da ripetere. In modo che possa vivere l’esperienza di finire tutto il piatto, ed essere soddisfatto di averlo fatto. In questo caso è bene che gli adulti gliene diano riconoscimento (“ah vedi, oggi avevi proprio fame!”), ma sono da evitare eccessivi complimenti o premi. Infatti quest’ultima strada sottolineerebbe l’eccezionalità dell’evento. Mentre quello che vorremmo è che diventasse la normalità.
- L’alimentazione di T. potrebbe continuare ad essere povera in quantità o selettiva. Ma non rinunciate a dare un buon esempio (sottolineare la bontà dei cibi, oppure “oggi avevo proprio voglia di un bel piatto di pasta”) questo gli offre delle alternative, che quando sarà pronto, potrà cogliere. Sono importanti in questo momento sia le esperienze dirette (quello che mangia e assaggia lui), sia le esperienze indirette (cioè osservare le vostre abitudini alimentari).
- Cerca degli alleati in famiglia. Mi sembra di capire che tuo marito non sia così preoccupato per la situazione. Credo potrebbe essere utile confrontarvi su come vedete la cosa. Per provare ad unire le forze, rispetto al mantenere la calma e trovare delle strategie condivise per gestire il momento del pasto. Ad esempio, in questo momento potrebbe essere molto utile a T. che voi genitori non vi mostriate in posizioni dissimili.
- Se avete bisogno di confrontarvi su dubbi o preoccupazioni, trovate dei momenti successivi, possibilmente non alla presenza di T., il quale percepirebbe che c’è qualche cosa che non va.
DA COSA PUO’ NASCERE LA SELETTIVITA’ SUL CIBO?
Cara C., mi sembra che tu abbia notato una corrispondenza tra l’influenza gastrointestinale ed un successivo aumento della selettività alimentare. Ipotizziamo quindi che tuo figlio possa aver associato il pasto a qualcosa di potenzialmente non gradevole? Cioè lo star male di stomaco? Il poter vomitare? La nausea? Effettivamente questi fatti potrebbero essere collegati, ma non per forza.
Forse ha percepito anche la preoccupazione in famiglia per questa situazione? Effettivamente un’influenza gastrointestinale nella prima infanzia può avere sintomi molto fastidiosi e comportare una perdita di peso anche significativa. Tutti aspetti che un genitore può vivere con apprensione, o addirittura angoscia. E magari anche per T. stesso può essere stato impegnativo affrontare uno dei suoi primi malesseri gastrointestinali.
Riferisci anche che però tuo figlio avesse difficoltà col cibo anche prima di questa influenza.
Quindi forse ti potrà essere utile avere qualche indicazione su quali possono essere le cause del restringimento degli interessi alimentari nell’infanzia:
- allergie o intolleranze: escludere una problematica di questo tipo è fondamentale. Una pediatra gastroenterologa può avere un’attenzione più specifica su questi aspetti e suggerire quali esami e approfondimenti fare;
- esperienze difficili connesse al momento del pasto o alla fase digestiva. Faccio riferimento a episodi di soffocamento, vomito, reflusso o altri problemi gastrointestinali. Ma parlo anche di esperienze in cui il bambino è stato forzato a mangiare oppure ha subito procedure invasive legate alla gestione dell’oralità (l’uso del sondino, per esempio);
- dinamiche emotive: il pasto è un momento di condivisione, connesso anche alle prime esperienze relazionali, con il cibo ed anche con gli altri membri della famiglia. Pensa a quante volte proprio a tavola si misura la tenacia da parte di grandi e piccini (mangia, stai seduto, non urlare, stai composto, ecc.). E’ proprio l’occasione per contrattare i limiti, non solo educativi, ma anche affettivi. C’è un punto in cui è utile dire “basta”? Sicuramente, ma la riflessione su questo è complessa e va calibrata sulla situazione specifica.
- A tavola spesso si giocano dinamiche familiari anche importanti rispetto alla possibilità di una buona convivenza familiare, senza che questo sia consapevole da parte dei commensali. Come reagire ai no sul cibo di T.? Lasciar perdere? Insistere? Parlargli? In che termini? Come poter invertire la rotta di questa situazione?
QUANDO CHIEDERE L’AIUTO DI UNO SPECIALISTA
Può essere utile rivolgersi ad uno specialista se la preoccupazione persiste, e nonostante i tentativi di riavviare la situazione, si ha la sensazione di un peggioramento. Ad esempio:
- si verifica una ulteriore perdita di peso, si può risentire il pediatra, e tenere meglio monitorata la situazione.
- Eventualmente si può contattare un nutrizionista specializzato in età evolutiva;
- Uno psicologo è utile che entri in gioco ad esempio:
- Se tra genitori è difficile trovare un punto di vista condiviso rispetto alla situazione. Uno psicologo vi può aiutare a trovare delle strategie nella gestione di T. e dei pasti, pur rispettando la diversità del vostro punto di vista.
- Vi può aiutare a comprendere il motivo dei comportamenti di vostro figlio: “perché fa così?”
- Se persiste qualche tipo di preoccupazione da parte del bambino relativa al cibo, che col tempo non svanisce o non si modifica, potrebbe essere utile che lui stesso incontrasse uno specialista, per aiutarlo ad affrontare i suoi blocchi sul cibo.
Un saluto.
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