Stigma psicologico | Risolvere
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LO STIGMA PSICOLOGICO: INTERVISTA A ELENA BILOTTA - PRIMA PARTE

Psicologa e Psicoterapeuta calabro-svedese, dottore di ricerca, lavora come psicoterapeuta dal 2012 a Roma e si occupa di disturbi di personalità.
Ha dato vita ad un progetto molto interessante e creativo: DSM - Disegni per la Salute Mentale. Elena, appassionata di arte e di disegno, si occupa di ideare e disegnare vignette che descrivono lo stigma nei confronti della malattia mentale, con l’intento di sviluppare consapevolezza su questo tema e aiutare le persone che soffrono ad uscire dal silenzio e chiedere aiuto.

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Apprezziamo molto il progetto di Elena. La forza delle immagini e delle metafore che utilizza nelle sue vignette aiutano davvero ad identificarsi nelle situazioni che descrive, facilitando l’emersione di molte condizioni di disagio mentale, che invece spesso rischiano di rimanere sommerse per paura e per vergogna. Crediamo come Elena, nell’importanza di parlare di questi temi.

Elena, hai voglia di raccontarci come è nato DSM - Disegni per la salute mentale?

Mi è sempre rimasta nell’anima e nel corpo la voglia di esprimermi tramite il disegno. Ho iniziato alcuni anni fa a fare delle caricature dei colleghi di lavoro in chiave ironica. Prima, avevo fatto delle vignette sulla vita da mamma, sul tema del non farcela.
Poi all’inizio del lockdown, nel 2020, è emerso sempre più il bisogno di comunicazione con una comunità che in quel momento sentivo lontana. Mi è sembrato un buon modo per uscire dalla stanza del terapeuta, condividendo e promuovendo la cultura psicologica e la psico-educazione. Mi ha spinto in questa direzione un’esigenza di accudimento, che è diventata più forte nel momento in cui tutti sentivamo il bisogno di essere meno soli, me inclusa. Quindi ho aperto la pagina FB e poi Instagram. Ho trovato un riscontro inaspettato e i risultati ottenuti per ora sono andati oltre le mie aspettative. Questo mi riempie di gioia e mi motiva molto nel portare avanti questo progetto. Le persone mi scrivono e mi dicono che si sentono meno sole, più capite e che i miei disegni le aiutano a comunicare con i propri familiari. Li aiutano a spiegare la loro condizione e come si sentono. Li aiutano ad essere più capiti.
I disegni sono una testimonianza tangibile della potenza della comunicazione tramite le immagini, cosa di cui mi sono sempre appassionata. Riuscire a comunicare ciò che hai dentro tramite un disegno penso sia una magia unica.
Questo progetto comunicativo ha il semplice intento di migliorare la consapevolezza delle persone verso il proprio o l’altrui disagio e sviluppare empatia. Credo questo possa essere un modo per avvicinare la malattia mentale, il disagio e destrutturare il mostro che per molti è il disturbo mentale.

Trovo che il tuo lavoro descriva l’attualità in una maniera evocativa, diventando un prezioso strumento di rispecchiamento, che offre l’occasioni per capire sé e gli altri.
I temi dello stigma e del pregiudizio ci stanno molto a cuore. Mi piacerebbe che tu aiutassi i nostri lettori a capire meglio di cosa si tratta. Ci racconteresti quali sono i meccanismi all’origine dei processi di stigmatizzazione?

Lo stigma non esiste solo nei confronti della malattia mentale, esiste nei confronti delle diversità in genere, è un modo per mettere delle distanze tra noi (i “giusti”) e loro (gli “sbagliati”). Ad esempio, lo stigma esiste nei confronti dello status socio-economico, l’etnia di provenienza, il colore della pelle, l’orientamento sessuale. Il disturbo mentale è uno stigma tra gli altri, è un problema sociale generalizzato e, per la maggior parte dei casi, sottovalutato, tant’è vero che spesso si cerca di evitare questo tema. L’effetto che fa la stigmatizzazione è creare distanza, separare attraverso una serie di stereotipi diffusi. Ad esempio, lo stereotipo della persona con disturbo mentale è quello che la rappresenta gravemente malata, cioè una persona che vive ai margini della società, come lo schizofrenico, o un senza tetto, l’alcolista grave che non ha una casa, il bipolare in fase maniacale, quindi si tende a pensarla come una persona pericolosa, fuori controllo, dannosa per la società, da tenere a bada e di cui avere paura.
Ma la realtà è diversa. Certo esistono casi in cui la gravità è estrema, persone che purtroppo vivono davvero ai margini della società. Ad esempio, le persone senza tetto tipicamente hanno un disturbo mentale grave, questo non va negato, ma non vuol dire neanche che siano senza speranze di ricevere cure adeguate. Al contempo è importante rendersi conto che ci sono persone che, pur avendo una diagnosi e una vulnerabilità, possono tranquillamente vivere una vita totalmente normale: amici, figli, lavoro. Purtroppo, ci sono però persone in difficoltà, che non ce la fanno a causa della carenza di cure e di Istituzioni che si prendano in carico queste situazioni.  La carenza di un sostegno adeguato porta ad una cronicizzazione del problema.

Hai nominato la “paura della malattia mentale”: l’effetto distanziante e di isolamento che ne deriva si sente forte. Quale impatto può avere sulla società̀ in cui viviamo e sulle persone che soffrono di disagio psicologico? Quali sono le persone più̀ a rischio?

Il passo successivo alla malattia mentale è lo stereotipo, il pregiudizio e quindi il fatto che si assume un atteggiamento emotivo e mentale di difesa, con un’aspettativa negativa nei confronti di chi sta male. Questa visione stereotipata non tiene conto della diversità di manifestazione della psicopatologia e tende a generalizzare un senso di pericolosità di paura nei confronti di chi ha un problema mentale. Si crede che la persona sia responsabile e colpevole del suo problema, a meno che non abbia un problema conclamato di natura fisica e non di natura psicologica.
La discriminazione verso chi è portatore di queste fragilità ha implicazioni sociali importantissime. Ad esempio, se penso che la persona con disturbo mentale sia pericolosa, ne avrò paura e dunque tenderò ad essere sospettoso, a non fidarmi, a non aiutarla, tenderò a non assumerla, a non darle lavoro, a non affittarle una casa. Tenderò ad isolarla e questo non farà altro che amplificare l’effetto di emarginazione e di espulsione dalla società.
Nell'ultimo disegno che ho fatto ho raccontato il caso di una persona che mi ha scritto e che è cresciuta con una mamma con disturbo bipolare. Ha dovuto gestire le crisi della madre sempre da sola, perché i Servizi erano completamente assenti. In questo lo stigma gioca un ruolo importante, le Istituzioni tendono a considerare i problemi di salute mentale secondari rispetto a quelli di salute fisica, determinando una netta priorità dei secondi sui primi.

Credo che lo stigma sulla malattia mentale sia ancora molto forte e che la nostra professione di psicoterapeuti ci esponga a farne esperienza attraverso i racconti dei nostri pazienti, ma anche attraverso l’esperienza diretta della stigmatizzazione della nostra professione: “siamo i medici dei pazzi”, “andare dallo psicologo non serve a nulla”, “andare dallo psicologo crea dipendenza”.  Cosa ne pensi di questo tipo di stigma?

Hai ragione, lo stigma non colpisce solo le persone che soffrono, ma anche la professione di psicologo e di psichiatra. Lo psicologo è visto come qualcuno che rimane in silenzio, enigmatico, oppure incomprensibile. Una persona che forse non ti ascolta, non ti aiuta e che devi pagare per nulla. Lo psichiatra, ovvero il medico dei matti, talvolta non è considerato neanche un vero medico.

Forse sono delle concezioni territoriali culturali che dipendono per esempio dal luogo dove abiti che tra le città e la provincia c'è un approccio diverso alla malattia mentale?

Parlando come giovane che è cresciuta in una provincia del Sud posso dire di aver fatto l’esperienza di “qualcosa di più” che stigmatizzante. Ci sono due fattori da considerare: la vergogna di conoscere lo psicologo a cui ci si rivolge, la vergogna che si sappia che “vai dallo psicologo”. Credo che nella città ci sia maggiore dispersione e la possibilità di una maggiore riservatezza e quindi più libertà nello scegliere di rivolgersi ad uno psicologo.  
Però, dall’altro lato, la letteratura sostiene che la patologia mentale più grave, come la schizofrenia, sia più presente in ambienti metropolitani, piuttosto che in ambienti rurali. Dati che suggeriscono che sia più facile sviluppare delle problematiche ansiose o depressive quando si vive in città, piuttosto che quando si vive in provincia. Se pensiamo al “diventare genitore” e alla rete sociale della famiglia, effettivamente quando si vive tutti insieme o comunque vicini si può contare su una funzione supportiva della comunità.

Qui trovate il link al progetto di Elena Bilotta, DSM-Disegni per la Salute Mentale
La sua pagina Instagram qui

A breve pubblicheremo la seconda parte dell'intervista a Elena Bilotta, in cui approfondiremo altri temi sullo stigma psicologico.

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